Tra fine agosto e metà dicembre le quotazioni azionarie hanno evidenziato andamenti volatili, influenzati da alcuni dati economici contrastanti fra le diverse aree economiche e dalla generale incertezza sulla crescita mondiale. I corsi azionari nell’area dell’euro sono saliti all’incirca del 3% nel periodo considerato, negli Usa del 4%, mentre in Giappone addirittura del 15%. Come si spiegano queste differenze?
“Per il Giappone, dove il dato balza agli occhi, occorre fare una lettura congiunta, nel senso che occorre vedere sì i dati macro, ma occorre anche tener conto della forte svalutazione dello yen da parte della Banca centrale che ha acquistato titoli di Stato allo scopo di diluire il potere d’acquisto e far aumentare l’inflazione. La manovre di quantitative easing, che consistono nell’immissione di grandi quantità di liquidità in genere si ripercuotono sull’economia, ma soprattutto stimolano i mercati azionari”.
Gli allentamenti monetari alterano i corsi azionari dei titoli delle società quotate che non incorporano solo il valore reale, la capacità di creare profitto delle compagine societaria, ma si gonfiano per effetto dell’intervento monetario delle banche centrali?
“E’ così. Se andiamo a vedere, ad esempio gli Stati Uniti, i rapporti tra il prezzo e gli utili nell’indice Standard &Poor’s 500, notiamo che sono tutte tra 18 e punte addirittura del 23. Questa normalmente è una condizione di sopravvalutazione che dovrebbe verificarsi nei mercati azionari quando c’è una forte ripresa”.
Qual è il suo giudizio sull’andamento delle Borse nel 2014 e in particolare di Piazza Affari?
“Le Borse soprattutto americane hanno dato ottimi risultati. Ci troviamo poco discosti dai massimi, perché in questa seconda metà di dicembre le quotazioni stanno scendendo. Bene anche Tokyo e Francoforte. Fanalino di coda è la Borsa italiana. Per due motivi. Anzitutto perché l’indice principale, il FTSE Mib, che raggruppa le 40 maggiori imprese italiane, è fortemente esposto verso il settore bancario ed energetico. L’altro aspetto è il fatto che la Borsa italiana è poco diversificata. Bastano 4 titoli: due bancari (Intesa San Paolo e UniCredit) e due energetici (Eni ed Enel), che da sole valgono il 45% della capitalizzazione totale di Piazza Affari e il loro andamento si ripercuote, positivamente o negativamente, sull’indice principale.
Come potrebbero reagire i mercati azionari nel 2015 di fronte alle aspettative differenti e alle incognite sulle crescita?
“Occorre ancora una volta distinguere. Negli Usa se davvero non ci sarà una forte crescita è difficile che possano essere mantenuti questi livelli. E’ molto probabile che esattamente come avvenuto a dicembre, nel primo semestre 2015 i corsi possano discendere per poi risalire nel secondo. Quanto all’Europa se davvero riuscisse ad uscire dalle sabbie mobili della stagnazione e desse corpo ad una ripresa economica più sostanziosa, i mercati europei sarebbero quelli che si apprezzerebbero maggiormente. Facciamo ipotesi in un quadro in forte movimento. Per la Borsa italiana un eventuale apprezzamento è da porre in relazione all’efficacia delle riforme strutturali, alle politiche di riduzione della spesa pubblica, e quindi all’esito della discussione sul bilancio con la Commissione Ue a marzo, e all’elezione del Capo dello Stato: da questi fattori potrà dipendere l’atteggiamento di fiducia degli investitori verso il nostro Paese e dunque verso il nostro mercato”.
Come deve posizionarsi l’investitore?
“Deve regnare la cautela. E’ importante che l’investitore tenga una buona liquidità e non si faccia attirare dai prezzi favorevoli, ma attenda un’effettiva inversione di tendenza”.