Senza stabilità a rischio il rifinanziamento del debito pubblico

Debito pubblicoNel 2014 vanno in scadenza 329 miliardi di euro di bond statali. Una montagna di debito pubblico da rinnovare che rappresenta un ulteriore elemento di difficoltà nell’agenda del Governo nell’anno della annunciata ripresa economica: uno scenario da valutare con attenzione di fronte alla prospettiva dello scioglimento anticipato del Parlamento e di un ritorno alle urne nella prossima primavera. Nel primo semestre del nuovo anno la quota di debito pubblico da rifinanziare è pari a 104 miliardi; ancora più intenso il secondo semestre che vede in agenda 225 miliardi di titoli pubblici in scadenza tra bond, cct, ctz e btp.  Lo rivela un’analisi del Centro studi Unimpresa sui titoli di Stato in circolazione.

L’analisi di Unimpresa è stata condotta sulla base dei dati del ministero dell’Economia e delle Finanze. Complessivamente,  fino alla fine del 2014, nuovo annus horribilis per le emissioni obbligazionarie statali, vanno rifinanziati 329,3 miliardi di titoli. Da gennaio a giugno, il Tesoro dovrà vedersela con scadenze per 104,6 miliardi: nel dettaglio, si stratta di 29,2 miliardi di bot, di 34,2 miliardi di btp, di 13,4 miliardi di cct, di 27,3 miliardi di ctz e 480 milioni relativi ad altre emissioni (Eurobond, Emtn, Ispa). La quota di debito da rifinanziare è ancora più consistente se si guarda la finestra che va da luglio a dicembre. Nel secondo semestre, infatti, il totale delle emissioni in scadenza ammonta a 224,7 miliardi, più del doppio rispetto a quanto previsto per i primi sei mesi del 2014:  nel dettaglio, si stratta di 106,3 miliardi di bot, di 73,9 miliardi di btp, di 12,9 miliardi di cct, di 29,3 miliardi di c tz e 2 miliardi relativi ad altre emissioni (Eurobond, Emtn, Ispa).

La recente discese dei differenziali di rendimento è certamente un elemento rilevante per i conti pubblici. Lo spread tra btp italiani e bund tedeschi “corre” attorno a quota 235 punti base e riduce la spesa per interessi a carico del bilancio dello Stato. E’ un risultato positivo che va cavalcato e ulteriormente migliorato. L’ideale sarebbe scendere sotto il “muro” dei 200 punti in modo tale da allontanare il più possibile la speculazione finanziaria sui titoli pubblici italiani.

“A Parlamento e Governo, e quindi a tutti i partiti, chiediamo senso di responsabilità: la stabilità politica è decisiva sui mercati finanziari e una eventuale, nuova crisi della maggioranza, adesso, correrebbe il rischio di sprecare i risultati positivi raggiunti finora proprio sul costo delle emissioni: le speranze di ripresa economica, prevista da molti enti e istituzioni per il prossimo anno ancorché non particolarmente robusta, verrebbero compromesse” è il commento del presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi.

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One Response to Senza stabilità a rischio il rifinanziamento del debito pubblico

  1. Giambattista Pepi scrive:

    Da Pierantonio Braggio riceviamo e pubblichiamo.
    Spett. Redazione di “finanzalternativa”,
    mi riferisco all’articolo “Senza stabilità, a rischio il rifinanziamento del debito pubblico”, uscito in questo sito il 14 dicembre 2013.
    L’articolo spiega dettagliatamente gli importi di titoli dello Stato in scadenza nel prossimo 2014. Spero che il suo contenuto, terrificante, possa incidere profondamente nel pensiero di chi lo legge – e speriamo che lo leggano in molti, per meglio sapere in quali pessime condizioni ci troviamo – onde il Lettore si renda conto dell’enorme mole di debito in cui l’Italia sta soffocando. Purtroppo, molto spesso, vengono glorificati i volumi delle sottoscrizioni di emissioni del Tesoro a rinnovo di titoli in scadenza, ma non si dice che le stesse costano allo Stato 80 miliardi di interessi all’anno, interessi che vanno ad ampliare il debito stesso, e non s’accenna minimamente al fatto che, a un certo momento, il Tesoro potrebbe non essere più in grado, né di rimborsare le somme in scadenza, né di pagare i detti interessi. E non si dice che causa di ciò sono state le spese pubbliche, troppo poco pensate, che in passato sono state fatte dall’allora politica, stampando banconote e certificati del tesoro in lire, in assenza, peraltro, di produzione. Spese pubbliche, che in buona parte, trovano oggi continuità, perché non si è stati in grado o non si è voluto, sinora, per motivi di impopolarità e, quindi, di perdita di consensi – e ci ripetiamo – ridurre la spesa pubblica e gli sprechi, partendo dalle spese più “minime.
    Ora, un debito pubblico in continuo aumento – oggi, 15.12.13, di 2.085 miliardi di euro, pari al 133% del Pil (nei primi anni Settanta era pari a circa il 35%) – e miliardi di Bot in circolazione, dei quali una buona parte del suo 65% è nel portafoglio degli istituti di credito – ci fa correre il pericolo di futuri ratings sullo stesso in riduzione, con assottigliamento delle quotazioni dello stesso e con ratings sfavorevoli alle banche, che ne detengono (per miliardi). Tutto questo fa temere il peggio, anche perché non si vede, nemmeno con la lente, la possibilità di una riduzione dell’imposizione fiscale, tale da fare rianimare le imprese, anima dell’economia e dell’occupazione. E ricordiamo che non è la crisi – lo sarà, ma in parte – a danneggiare il Paese. E’ la spesa pubblica e la conseguente, paralizzante, soffocante ed inaccettabile pressione fiscale. Infatti, inutile dirlo, se pagassimo meno imposte, avremmo più denaro in tasca, che utilizzeremmo per consumi interni, i quali, uniti all’export, vivacizzerebbero l’economia e permetterebbero di creare lavoro e di aiutare chi ha meno.
    In merito, ci sarebbe da parlare per qualche mese, non dimenticando che non è con le svalutazioni della moneta, o con manovre sui tassi, che si cura l’economia, ma con i criteri d’amministrazione del buon padre di famiglia e, quindi, esclusivamente con un’oculata spesa dello Stato. Su questa dobbiamo concentrarci.
    Complimenti, comunque, all’Estensore dell’articolo e alla Redazione, perché lo stesso propone motivi molteplici e dettagliati di meditazione.
    Pierantonio Braggio

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