1860 Garibaldi taglia la testa di medusa. Articolo di Leonardo e Giuseppe Di Bella

Bollo di franchigia postale con Trinacria del Comune di Prizzi – 1849.

Bollo di franchigia postale con Trinacria del Comune di Prizzi – 1849.

Il Governo dittatoriale garibaldino proibisce l’utilizzo dei sigilli di franchigia postale con la figura della Trinacria, antico simbolo di indipendenza dell’Isola. Una ricerca storica e postale lunga e complessa, durata 30 anni, il cui risultato finale impreziosisce i materiali raccolti e li trasforma in un unicum collezionistico e storico.

Spesso lo studio della prefilatelia ci porta al cospetto della storia in senso proprio oltre che di quella delle comunicazioni postali. Tra i documenti postali relativi al periodo successivo allo sbarco di Garibaldi in Sicilia si ritrovano molteplici casi di utilizzo di sigilli amministrativi di franchigia postale che presentano al centro l’immagine della Trinacria, il cui nome più corretto è trìscele.

Bollo di franchigia postale del Magistrato municipale di Ferla – 1848.

Bollo di franchigia postale del Magistrato municipale di Ferla – 1848.

Questo simbolo apotropaico ha origini remote collocate da alcuni studiosi nel mondo indo ario e comunque in culture pre-ellenistiche; esso si diffonde nel Mediterraneo attraverso la mediazione culturale greca, databile attorno al IX secolo A. C.

L’iniziale forma di falce lunare dei tre elementi che componevano la figura, viene trasformata in ambito greco e sostituita dalle tre gambe piegate al ginocchio, con al centro la testa di Medusa.

Trinacria dipinta su vasellame del VII secolo A.C., ritrovato durante gli scavi a Palma di Montechiaro.

Trinacria dipinta su vasellame del VII secolo A.C., ritrovato durante gli scavi a Palma di Montechiaro (Agrigento).

In Sicilia il Trìscele, in una forma già evoluta, è stato riscontrato raffigurato su manufatti trovati a Gela e presso Agrigento, risalenti al VII secolo avanti Cristo: nella sua forma più evoluta, arricchita dalla cultura ellenistica, esso raffigura tre gambe piegate al ginocchio con al centro la testa di Medusa, con le ali ai due lati.

Questo antico simbolo religioso, forse rituale, venne importato in Sicilia appunto attorno al VII secolo A. C. e ne divenne l’emblema più noto, tanto che l’Isola venne identificata fin dall’antichità anche con questo nome che si aggiunse a quelli preesistenti, legati alla presenza delle popolazioni pre-elleniche della Sicilia ovvero i Sicani, i Siculi, gli Elimi ed i Fenici.

La millenaria continuità storica e geografica di questo nome e della sua compenetrazione ed identificazione con l’Isola viene testimoniata da una pluralità di elementi significativi e ritrovamenti archeologici.

Tra gli elementi di maggiore persistenza va evidenziata la coniazione in Sicilia tra il IV secolo A. C. ed il I D.C., di monete che riportano questo simbolo.

Moneta siciliana del IV secolo A.C. con cavallo alato sormontato da una  Trinacria.

Moneta siciliana del IV secolo A.C. con cavallo alato sormontato da una Trinacria.

La Triquetra siciliana, quale icona rappresentativa dell’anelata indipendenza dell’Isola, compare nel 1282 al centro della bandiera innalzata dai rivoluzionari del Vespro siciliano e si staglia sui colori dei due Comuni che per primi si coalizzarono contro gli angioini con il patto solenne del 3 aprile dello stesso anno: il rosso di Palermo ed il giallo di Corleone.

Ma il suggello storico di questa compenetrazione si ha nel 1302 quando con la pace di Caltabellotta, al neo costituito Regno aragonese dell’Isola, viene dato il nome di Regno di Trinacria, per distinguerlo da quello continentale angioino che continua come Regno di Sicilia.

Trinacria ufficiale del generale Parlamento di Sicilia – 1848.

Trinacria ufficiale del generale Parlamento di Sicilia – 1848.

Così come nel 1282, anche nel 1848 la Trinacria venne adottata dal Parlamento rivoluzionario quale icona della rivoluzione stessa e dell’indipendenza da Napoli. Così infatti decretava nel marzo del 1848 il Parlamento siciliano: “Che da qui innanzi lo stemma della Sicilia sia il segno della Trinacria senza leggenda di sorta”.

Durante la rivoluzione del 1848-49 che depose la dinastia borbonica e proclamò l’indipendenza dell’Isola avvennero, come sempre accade in questi casi, profondi mutamenti.

Uno dei settori che risentì di questi eventi fu quello postale che meglio di altri si prestava a mettere in evidenza ed in circolazione i simboli e le insegne del nuovo potere costituito.

Lettera di servizio dall’officina postale di Carini del 1820. Impronta dell’officina e real servizio a comprova della franchigia goduta dal mittente.

Lettera di servizio dall’officina postale di Carini del 1820. Impronta dell’officina e real servizio a comprova della franchigia goduta dal mittente.

Furono immediatamente sostituiti i bolli in dotazione alle Officine postali dai quali maggiormente trasparivano i segni del deposto regime borbonico, ovvero quelli con la dicitura “Real Servizio” con l’altro, più “democratico” “Servizio pubblico” o più frettolosamente Pub. Servizio, dove “Pub” venne ricavato dalla scalpellatura e modifica del preesistente “Real”.

Lettera di servizio del 1849 con sigillo di franchigia con Trinacria del comune di Sambuca – impronta dell’Officina di Sambuca e “Pub. Servizio” ottenuto dalla scalpellatura del precedente “Real Servizio” borbonico.

Lettera di servizio del 1849 con sigillo di franchigia con Trinacria del comune di Sambuca – impronta dell’Officina di Sambuca e “Pub. Servizio” ottenuto dalla scalpellatura del precedente “Real Servizio” borbonico.

Ma oltre ai bolli propriamente postali, anche quelli amministrativi utilizzati per attestare il diritto a franchigia dell’Ente o del soggetto mittente, vennero deposti assieme alla Dinastia, in particolare il panciuto doppio ovale che, oltre alla dicitura, ostentava le insegne borboniche ed il nome del Re di cui vediamo alcuni esempi postumi molto nitidi.

Sigillo borbonico di franchigia.

Sigillo borbonico di franchigia.

Questi sigilli vennero sostituiti con altri che rappresentavano l’ammaliante tripode con la testa della Gorgona al centro, emblema del Parlamento rivoluzionario.

Mancando un modello ufficiale uniforme a cui attenersi, si sbizzarrirono i vari uffici pubblici nell’allestimento di questi bolli amministrativi, adottando Trinacrie di varie dimensioni e fantasiose fogge, con o senza le spighe, aggiunte in epoca romana per simboleggiare l’importanza della coltura del grano nell’Isola, che invero nel sigillo ufficiale del Generale Parlamento di Sicilia non compaiono.

Lettera di servizio del 25.12.1848 con sigillo di franchigia con Trinacria della Direzione delle poste di Trapani – impronta dell’Officina di Trapani e  di “Servizio pubblico”.

Lettera di servizio del 25.12.1848 con sigillo di franchigia con Trinacria della Direzione delle poste di Trapani – impronta dell’Officina di Trapani e di “Servizio pubblico”.

Alcuni Enti presero alla lettera il dettato parlamentare ed erroneamente interpretando letteralmente l’espressione “lo stemma della Sicilia sia il segno della Trinacria senza leggenda di sorta” omisero perfino il nome dell’Autorità da cui promanava la missiva, dicitura sempre obbligatoria nei timbri di servizio utilizzati per attestare il diritto alla franchigia postale dell’Autorità mittente. Questo spiega la presenza di diverse Trinacrie “mute”.

I bolli vennero realizzati quasi sempre in sede locale e con estrema sollecitudine; raramente in ferro, spesso in legno di buona qualità, ma talvolta da artigiani inesperti nell’arte di questa particolare incisione. Dobbiamo comunque rilevare che anche le Trinacrie di fattura più rozza, se non ingenua, risultano sempre di notevole impatto visivo, oltre che massimamente espressive.

Sigillo di franchigia postale - Trinacria muta di Girgenti – 1848.

Sigillo di franchigia postale – Trinacria muta di Girgenti – 1848.

Con la sconfitta dei rivoluzionari e la restaurazione borbonica, si ritornò allo status quo ante, e scomparvero, con la stessa rapidità con la quale erano apparse, sia le impronte di “Servizio Pubblico”, sia i sigilli amministrativi recanti la “Trinacria”.

Parte di questi timbri, per comprensibili motivi, furono eliminati dagli stessi rivoluzionari; altri vennero subito distrutti dai restaurati lealisti borbonici, in quanto simboli della soffocata rivolta, mentre una piccola parte venne nascosta dai rivoluzionari anti borbonici, in attesa di “tempi migliori”.

Col Decreto di Alcamo del 17 maggio 1860, Garibaldi con mossa inaspettata, riporta le lancette della storia al 15 maggio 1849 ed apparentemente “continua la rivoluzione dei siciliani”. Fa artatamente rivivere la dichiarazione di decadenza dei Borbone, approvata all’unanimità l’8 aprile 1848, dal Parlamento siciliano.

“E’ instituito un Governatore in ciascuno dei 24 distretti della Sicilia … ristabilirà in ogni comune il Consiglio civico e tutti i funzionari esistenti prima dell’occupazione borbonica … eserciterà i poteri dati alle commissioni distrettuali coi decreti del 22 luglio 1848 e del 22 febbraio 1849 … le leggi, i decreti e regolamenti, quali esistevano sino al 15 maggio 1849 continuano ad essere in vigore.”

Ma il Dittatore invero è venuto per consegnare l’Isola ai Savoia e non ha alcuna intenzione di riconvocare quel Parlamento simbolo della libertà ed indipendenza della Sicilia. Vi è un passaggio istituzionale fondamentale sul quale è necessario focalizzare la massima attenzione: Garibaldi a Salemi “Decreta di assumere nel nome di Vittorio Emanuele la “Dittatura di Sicilia”, facendo attenzione a non nominare il “Regno di Sicilia”.

Lo stratagemma è sottile: Garibaldi riconosce strumentalmente l’esistenza di uno Stato siciliano usurpato, che altro non poteva essere che l’antico Regno di Sicilia, per potersi proclamare Dittatore di questo Stato … esplicitamente profilando di volerlo consegnare a Vittorio Emanuele II.

E’ chiaro l’intento politico di Garibaldi e Crispi di portare subito dalla loro parte quanti più Comuni e notabili e cittadini, anche facendo credere ai siciliani che essi continuano la strada intrapresa dal Parlamento rivoluzionario. Garibaldi si appropria della storia dei siciliani, scegliendo di essa ciò che gli aggrada e ignorando ciò che non gli conviene. “Dimentica” il Generale che il Parlamento di quello Stato siciliano cui ora si appella e dichiara di ripristinare e rappresentare, aveva rivendicato in perpetuo per l’Isola, lo status di Regno indipendente.

Garibaldi dunque richiama ai posti di comando i secessionisti del 1848, ma in realtà nella sua rivoluzione non vi è nulla di sostanzialmente assimilabile ai principi ispiratori dei moti del 1848.

E prima fra tutte, viene tradita la rivendicazione di indipendenza dell’isola, causa determinante delle tre rivoluzioni del 1820, 1837 e 1848 dei siciliani contro la Corona Borbonica. Questa quarta rivoluzione del 1860 è veramente altra cosa, nonostante i Decreti garibaldini la vogliano artatamente far passare per la continuazione di quella del ‘48.

Una situazione politica alquanto confusa che è lo specchio dell’incertezza che accompagna la caduta del Regno delle Sicilie. Si è ripetuto che molti siciliani vennero tratti in inganno dall’azione di Garibaldi, e che erroneamente ritennero che la rivoluzione del 1860 fosse la continuazione di quella del 1848. A supporto di questa tesi, si tenga conto che alcuni comitati rivoluzionari, adottarono come loro simbolo proprio la Trinacria e come bandiera il tricolore italiano con il gorgonèion in campo bianco.

Ciò che accadde in campo postale, ci fornisce un ulteriore significativo elemento di giudizio.

Sbarcati i Mille a Marsala, man mano che essi avanzavano vennero posti fuori uso i francobolli con l’effigie di Ferdinando II, ed i vecchi rivoluzionari del 1848 riesumarono i bolli con l’effigie della Trinacria e di “servizio pubblico”, dai loro nascondigli e li utilizzarono sulla corrispondenza, non escludendosi che alcune autorità ne abbiano fatto eseguire di nuovi.

Ma le mal riposte speranze dei siciliani, le loro illusioni di libertà ed indipendenza, vennero troncate sul nascere anche in campo postale.

Il sigillo di franchigia adottato dal Comitato di Girgenti, qui riprodotto, è il compendio della confusione ed incertezza politica che si viveva in quel frangente. Il bollo infatti riproduce due bandiere italiane col tricolore incrociate e sormontate dalla Trinacria emblema dell’antica indipendenza dell’Isola, di quella indipendenza che l’impresa garibaldina certo non intendeva ristabilire.

Sigillo di franchigia del Comitato di Girgenti del Maggio 1860 – Bandiere italiane sormontate da Trinacria.

Sigillo di franchigia del Comitato di Girgenti del Maggio 1860 – Bandiere italiane sormontate da Trinacria.

Nel campo bianco delle bandiere, a scanso di equivoci, vennero aggiunte a mano due croci ad imitazione dello scudo dei Savoia. Lo stesso sigillo si conosce usato anche senza l’aggiunta delle croci.

Uno dei primi atti dei nuovi governanti, che faceva già intravedere molto chiaramente che le cose non sarebbero andate nel senso desiderato dagli indipendentisti, fu proprio quello che si riferisce all’uso delle Trinacrie.

Ecco di seguito il testo della lettera-circolare che Francesco Romeo, governatore del distretto di Acireale in provincia di Catania, inviò ai Comuni del circondano: «Acireale il di 14 luglio 1860. Signore con sorpresa vengo ad osservare che non tutti i municipi si sono provvisti di suggello nazionale ma che invece, alcuni si servono di quelli del 1848 o di altri così contraffatti che non lasciano rilevare ciò che vogliono intendere. Ed essendo miglior cosa non far uso di suggello alcuno che porne di o illegali o sconci, io nel riprovare la passata condotta, debbo imporre che subito le amministrazioni e le autorità tutte del municipio si provveggano di legali suggelli. Firmato il governatore “F. Romeo” ».

Dal punto di vista storico postale, questo documento spiega perché l’uso delle Trinacrie nel 1860 sia molto più raro che nel 1848 e non solo per la pregressa distruzione del 1849 o per motivi contingenti, bensì per la precisa volontà politica che questo simbolo non comparisse più.

Va considerato che le disposizioni impartite con la lettera di cui sopra, non erano certo esito dell’iniziativa personale del solerte e zelante Governatore del distretto di Acireale, poiché questi eseguiva ordini superiori, infatti l’uso generalizzato delle Trinacrie cessò contemporaneamente in tutta la Sicilia.

Sigillo di franchigia del Comune di Xitta con insegna italiane – 1861.

Sigillo di franchigia del Comune di Xitta con insegna italiane – 1861.

Così, dopo circa due mesi dallo sbarco dei Mille, veniva espressamente vietato l’uso delle Trinacrie e non possiamo che sottolineare l’ipocrita sorpresa del governatore di Acireale nel constatare che si faceva uso dei “suggelli” della rivoluzione del ‘48, ritenuti “sconci e illegali”, per il solo motivo che i siciliani nell’aderire all’impresa garibaldina, avevano creduto di continuare la rivolta del ‘48, senza accorgersi che adesso la “legalità” era rappresentata dallo stemma sabaudo.

Si tentava invero di cancellare con la Trinacria, la stessa millenaria identità storica della Sicilia. Ma va evidenziato che nonostante queste precise e severe disposizioni, non tutti i pubblici ufficiali siciliani si adeguarono, o meglio si rassegnarono, a mettere da parte il simbolo storico dell’indipendenza dell’Isola.

Sigillo di franchigia del Notaio Giacomo Nizzola di Santa Ninfa con insegne italiane -1861 – I notai godevano di franchigia per la trasmissione alcuni atti.

Sigillo di franchigia del Notaio Giacomo Nizzola di Santa Ninfa con insegne italiane -1861 – I notai godevano di franchigia per la trasmissione di alcuni atti.

Infatti l’uso delle Trinacrie sarà perpetuato in diversi Comuni e pubblici uffici nel corso di tutto il 1860.

Vi è di più: sono noti diversi casi di utilizzo della Trinacria quale contrassegno di franchigia postale, ben oltre la proclamazione del Regno d’Italia, come si riscontra per esempio per i Comuni di Sambuca, Corleone e di Monterosso Almo, che continuarono ad utilizzare il contrassegno rivoluzionario adottato nel 1848 e riesumato dopo lo sbarco di Garibaldi, ancora nel giugno del 1861.

E ancora più tardivamente, e diremo temerariamente, il Comune di Villarosa utilizzò il suo sigillo rivoluzionario con il tripode e la testa di Medusa, fino al mese di agosto 1861, mentre il Comando della Guardia Nazionale di Sambuca, incredibilmente utilizzò la sua Trinacria almeno fino a novembre del 1861!

Lettera con sigillo di franchigia del Governo del Distretto di Acireale con insegna Savoia–  6 Giugno 1860.

Lettera con sigillo di franchigia del Governo del Distretto di Acireale con insegna Savoia– 6 Giugno 1860.

La posta ed i suoi segni, sono stati costantemente oggetto di ostentazione dei simboli del potere costituito, così come nella loro “illegale” persistenza, cosi come nella velocità con la quale il nuovo ordine vuole cancellare le icone del precedente governo.

E a tal proposito in Sicilia nel periodo garibaldino dittatoriale, a far da contro altare alla permanenza delle riesumate Trinacrie rivoluzionarie, ora “illecitamente” utilizzate, vi sono i tanti casi in cui i sigilli postali di franchigia con l’insegna borbonica vennero subito aboliti e sostituiti da quelli con le insegne dei Savoia.

Si distinse in questo veloce “cambio di bandiera” il distretto di Acireale nel quale già due giorni dopo la ritirata dei borbonici, il sei giugno 1860, erano in uso i nuovi sigilli con le bandiere dei Savoia, come si rileva dalle date d’uso dei bolli del “Governo del distretto di Acireale” della “Intendenza del circondario di Acireale” e della “Questura del distretto di Acireale”, circostanza che induce più che un sospetto sulla loro commissione ed esecuzione ancor prima della ritirata dei regi da Catania.

Lettera assicurata da Marsala a Catania del novembre 1861 -  affrancata con i francobolli italiani annullati con l’ovale borbonico ancora in uso.

Lettera assicurata da Marsala a Catania del novembre 1861 – affrancata con i francobolli italiani annullati con l’ovale borbonico ancora in uso.

E’ opportuno evidenziare che, al contrario di quanto accaduto per i francobolli e per i sigilli di franchigia con l’effigie della Gorgona, il Governo dittatoriale non sostituì i bolli ovali nominativi già in dotazione alle officine postali. In tutto questo vi è una logica, la stessa utilizzata dal governo rivoluzionario del 1848,  poiché gli ovaloidi in dotazione alle officine non riportavano alcun simbolo del deposto regime borbonico. Nulla infatti questi bolli evidenziavano, se non il nome dell’officina o le diciture di servizio quali “franca” e “assicurata”.

E così le impronte nominative ovali delle officine siciliane continueranno ad essere utilizzate sino alla loro sostituzione con i nuovi annulli circolari detti Sardo-italiani. La loro  tardiva fornitura rispetto all’adozione in Sicilia, il primo maggio 1861, dei francobolli della quarta emissione di Sardegna utilizzati per tutti i territori annessi al Regno d’Italia, determinerà, fino all’autunno del 1861, l’annullamento dei francobolli “italiani” con gli ovali borbonici.

Un’ultima annotazione: a distanza di 27 secoli dalla sua “importazione e adozione”, la Trinacria campeggia ancora al centro della bandiera ufficiale della Sicilia.

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One Response to 1860 Garibaldi taglia la testa di medusa. Articolo di Leonardo e Giuseppe Di Bella

  1. akeka scrive:

    Magnifica carrellata di storia postale, con i dotti contorni tipici della “Ditta Di Bella”.

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