La crescita economica dell’Italia riguarda tutti non solo le banche. Intervista con il Presidente dell’Abi Antonio Patuelli

Antonio Patuelli, 62 anni, bolognese  è presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna SPA e dell’Abi. Eletto il 31 dicembre 2012, dopo le dimissioni di Giuseppe Mussari, ex presidente MPS.

Antonio Patuelli, 62 anni, bolognese è presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna SPA e dell’Abi. Eletto il 31 dicembre 2012, dopo le dimissioni di Giuseppe Mussari, ex presidente MPS.

Le banche faticano a concedere finanziamenti. Tempi sempre più lunghi e tassi sempre più elevati. Quasi 26 miliardi di euro in meno nei primi 7 mesi dell’anno.  Ma prestare denaro non è il vostro mestiere?

“Sì. In Italia le banche prestano perfino di più di quanto raccolgono. La problematica di questa lunga crisi, nata oltre oceano, di cui la ristrettezza creditizia è un riflesso, riguarda tutta l’Europa, sia pure in maniera differenziata. L’Italia la soffre di più perché è uno dei Paesi con le istituzioni pubbliche più indebitate del mondo. Per pagare gli interessi sul debito pubblico imprese e famiglie sopportano alti livelli di pressione fiscale. Questi costi comprimono i fattori della competitività delle imprese di tutti settori, banche comprese. Che competono sul mercato europeo con un handicap, che è capillare su tutti i fattori produttivi. Le banche italiane non hanno avuto contributi a fondo perduto da parte dello Stato a differenza di altri istituti bancari europei. Quanto ai tassi, si muovono di decimali, ma nella storia italiana, sono nella curva più bassa. Nemmeno negli anni Cinquanta i tassi erano così bassi e noi viviamo ancora di tassi bassi”.

Però l’anno scorso la BCE ha iniettato mille miliardi di €. Una parte dei quali sono andati a beneficio delle banche italiane. Ma nelle intenzioni della BCE queste non dovevano servire a far sì che si finanziasse l’economia reale?

“In realtà non c’era una destinazione di scopo e le due aste di rifinanziamento illimitate (LTRO) è consistita in un’immissione straordinaria di liquidità per compensare l’enorme crisi di liquidità che stava esplodendo nell’autunno del 2011 a seguito della crisi dello spread italiano e dell’inaridimento dei prestiti interbancari internazionali. Per altro le regole di Basilea III impongono alle banche delle cospicue riserve di liquidità, tant’è che in Italia, a differenza di altri paesi molto blasonati dell’UE, come la Gran Bretagna, non c’è stato un caso di una banca che avesse delle difficoltà di liquidità e la coda dei correntisti fuori in attesa di avere i loro quattrini”.BANCHE: PATUELLI, SIANO DISTINTE E DISTANTI DA POLITICA

La ristrettezza creditizia sostenete è dovuta anche al fatto che aumenta lo stock dei crediti in sofferenze: oltre 70 miliardi a giugno e che il differenziale tra attivi e passivi è peggiorato: prima della crisi del 2008 era circa il 3%, oggi siamo all’1,72%. Guadagnare per le banche diventa più difficile?

“E’ così. Ciò avviene anzitutto per l’altissimo livello della pressione fiscale che grava sulle banche, senza eguale né con le consorelle europee, né con le imprese generaliste italiane. Inoltre, quando vi sono crediti deteriorati, sofferenze o addirittura perdite, le banche devono accantonare quote di capitale per farvi fronte. Quindi le banche rincorrono da anni i criteri di Basilea III facendo ulteriori accantonamenti a fronte di perdite e sofferenze. Le banche con i loro mezzi e quelli degli azionisti stanno compiendo uno sforzo immane per restare sul mercato e continuare ad operare”.

Stando così le cose, le banche italiane hanno bisogno di ricapitalizzarsi?

“Lo stanno già facendo tutti i giorni. Soprattutto negli ultimi due anni. Perché quando spostiamo a riserve delle poste a fronte dei crediti deteriorati lo facciamo quotidianamente. Ciò per rispondere ai criteri di sana e prudente gestione bancaria e anche per coprire i rischi del deterioramento dei crediti”.

Cosa state facendo per accompagnare imprese e famiglie fuori del tunnel della recessione e favorirne la crescita.

“Le prospettive non sono la realtà, ma sono appunto prospettive. Per quanto ci riguarda continuiamo a subire gli effetti della più lunga e grave crisi dopo gli anni della guerra e della ricostruzione post bellica. Dobbiamo fare uno sforzo per far convergere le istituzioni italiane per la costruzione dell’Unione bancaria europea. Quando nacque l’euro ci fu una grande mobilitazione. La stessa deve essere posta in essere dalle imprese, perché la nascita dell’Unione bancaria europea non riguarda solo le banche, ma il mondo delle imprese, dei lavoratori e delle famiglie. Quando sarà realizzata l’Unione non ci saranno regoli difformi tra un Paese e l’altro dell’Europa e l’Italia. Nel Dl della Legge di stabilità è stato rimosso uno dei condizionamenti e dei limiti a nuovi prestiti più anomali che sussistono”.

Di cosa si tratta?

“Le banche italiane quando vedono un prestito trasformarsi in perdita lo debbono caricare immediatamente nel conto economico, nel bilancio dell’anno, ma nel conto fiscale non lo debbono caricare nello stesso anno, ma lo devono frazionare in 18 anni, a differenza di quello che succede per le banche di altri paesi europei e quello che succede in Italia per gli altri settori produttivi. Questo significa che le banche devono assumere un rischio che non è solo il rischio d’impresa, ma è anche quello fiscale che limita nuovi prestiti. Questa anomalia è stata eliminata dal Governo che, nella Legge di stabilità, ha previsto una norma sulla deducibilità delle perdite sui crediti”.

Rassegna Dante edizione 2011In concreto quali strumenti metterete in campo per far ripartire il credito?

“A luglio abbiamo sottoscritto con le associazioni imprenditoriali l’accorso sul credito 2013 che è una rinnovata ed ampliata moratoria per le imprese. In più operiamo con gli organismi economici perché il Governo ampli i Fondi di garanzia per le imprese, nel senso che le imprese più hanno garanzie per i prestiti che sollecitano più hanno possibilità di accedere a nuovo credito”.

Anche il settore bancario fa i conti con la crisi: 3mila sportelli da chiudere, circa 20mila dipendenti in esubero, in un settore che occupa 330mila addetti. E’ l’ora dei tagli anche nelle banche? E’ per questo che avete anticipato la disdetta unilaterale del contratto suscitando l’ira dei sindacati che minacciano scioperi?

“Fino alla seconda metà degli anni 80 c’era il blocco degli sportelli. Le aperture erano centellinate. Dopo, invece, le banche, riconosciute come imprese dal Testo unico bancario del 1993, si sono mosse sulla base di piani di imprese, vigilate da banca d’Italia, e così c’è stata un’esplosione di investimenti con la creazione di una rete capillare di sportelli sul territorio di molto superiore al numero degli abitanti. Questo è avvenuto prima che ci fosse l’avvento delle nuove tecnologie che si sono sviluppate perfino sui telefonini. Le tecnologie e la crisi oggi impongono al sistema bancaria delle profonde ristrutturazioni. Abbiamo disdetto il contratto di lavoro sulla base del contratto vigente. Non abbiamo violato le norme come qualcuno vuole fare intendere. Almeno con 6 mesi di anticipo le banche contraenti possono ridiscutere il contratto. Nel 2005 sono stati i sindacati ad aver disdetto unilateralmente disdetto il contratto. Averlo disdetto non l’ultimo giorno, ma con 4 mesi di anticipo lascia più tempo alla riflessione comune, collegiale delle parti sociali per trovare soluzioni più innovative e produttive che favoriscono nuovi modi di fare banca, che contribuiscono ad avviare una nuova fase di sviluppo del comparto”.

La governance delle banche. Il caso Monte dei Paschi di Siena ha sollevato il problema delle fondazioni. Sono azionisti scomodi?

“In Italia ci sono mille banche. E’ il Paese che ha il maggiori pluralismo delle forme giuridiche e delle composizioni azionarie. In Italia vi è carenza di investitori istituzionali. Per fortuna esistono le Fondazioni che colmano con quello che possono queste carenze. Il caso del MPS è all’attenzione delle autorità competenti di garanzie e quindi le conclusioni sul caso lo esprimeranno loro. Non deve essere, però, generalizzato il caso di una banca che sta combattendo le sue problematiche come se fosse il problema di tutti”.

Le banche detengono quote del capitale in Banca d’Italia. Cosa che, naturalmente, pone il problema che coloro che sono soggetti alla vigilanza, i controllati, detengono la proprietà del controllore.

“Guardi che questo è un ruolo onorario, non effettivo, per cui detenere quote del capitale di Banca d’Italia non produce nessun risultato dal punto di vista della partecipazione alle decisioni di Banca d’Italia, ma è un ruolo che è stato imposto in termini di sottoscrizione del patrimonio nel 1936, a una serie di banche ampia e di assicurazioni. Solo in Italia nel contesto europeo dopo il 1936 e dopo la fine della guerra con la nascita della Repubblica, quei valori storici non sono stati rivalutati. Perché tutto ha avuto le doverose rivalutazioni. Per cui oggi occorre rivalutare queste quote. E’ una necessità che viene da tanti fattori storici ed economici, sui quali giustamente la Banca d’Italia ha costituito un autorevole gruppo di lavoro e quindi attenderemo le conclusioni”.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Economia, Finanza e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


quattro + = cinque

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>