Mentre l’Italia si unificava gli Stati Uniti si dividevano sul problema soprattutto economico della schiavitù.
Il primo gennaio di 150 anni fa entrava in vigore il Proclama di Emancipazione di Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America che ordinava la liberazione di tutti gli schiavi dai territori degli Stati Confederati d’America. La nazione americana si trovava nel mezzo di un evento epocale che la sconvolse, segnandone tuttavia l’evoluzione verso la modernità. Fu la prima guerra giocata non solo sui campi di battaglia, ma anche con i mezzi che la rivoluzione industriale aveva messo a disposizione, e quindi ferrovia, telegrafo, treno blindato, nave corazzata, armi subacquee: un prologo di quello che avrebbe atteso il mondo con le due guerre mondiali.
Notevoli le conseguenze in campo filatelico e postale che la guerra civile americana provocò, specie se osservate dalla parte dei perdenti, gli Stati Confederati; non prima però di avere fornito una necessaria introduzione storica.
Una delle motivazioni che furono alla base della guerra riguardava la possibilità e il diritto di secessione di uno Stato dall’Unione quando questi lo ritenesse opportuno: gli stati della confederazione appoggiavano questa proposta, quelli dell’Unione e il governo federale ne negavano la possibilità. Ma ancora a monte di queste richieste c’era il timore che il neo-eletto Presidente Abramo Lincoln volesse abolire la schiavitù e andare così definitivamente ad alterare l’economia degli Stati Uniti.
Il primo stato a dichiarare la propria secessione fu il South Carolina il 20 dicembre 1860, seguito tra gennaio e febbraio 1861 da Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississipi e Texas. A Montgomery in Alabama furono formati gli Stati Confederati d’America, dei quali furono nominati rispettivamente presidente e vice-presidente Jefferson Davis e Alexander Stephens.
L’11- 12 aprile 1861 iniziò la Guerra civile americana: agli Stati Confederati presto si unirono Virginia, Arkansas, North Carolina e Tennessee e, infine, Kentucky e Missouri. Il conflitto terminò quattro anni dopo, il 9 aprile 1865, con la resa del Generale Lee: il Sud fu costretto a cedere alle maggiori possibilità a disposizione dell’industrializzato Nord. Il presidente Jefferson Davis fu poi catturato in Georgia il mese successivo.
Se il governo centrale della Confederazione prese avvio il 4 febbraio 1861, il suo servizio postale fu attivato soltanto il primo giugno 1861: per cinque mesi quindi funzionò ancora il servizio postale degli Stati Uniti, con i suoi francobolli e le sue tariffe e senza che vi fossero interruzioni negli scambi postali tra Unione e Confederazione. Col primo giugno dello stesso anno lo scambio della posta tra Nord e Sud fu sospeso.
Dal punto di vista storico postale si distinguono quindi gli usi di francobolli degli Stati Uniti nei periodi di stato secessionista indipendente (figura 1 sopra) e stato secessionista confederato (figura 2).
I francobolli degli Stati Uniti impiegati tipicamente furono quelli dell’emissione del 1857. Nell’estate 1861 gli Stati Uniti emisero nuovi francobolli e demonetizzarono quelli precedentemente in uso in modo che non potessero essere usati dalla Confederazione.
Nel marzo 1861 il texano John Henninger Reagan fu nominato Postmaster General degli Stati Confederati: nemmeno un mese dopo il suo insediamento, Reagan già si adoperava nella ricerca di tipografie in grado di stampare i francobolli per la Confederazione; sebbene fossero state ricevute proposte da stati del Nord e del Sud, visto l’evolversi del conflitto la scelta cadde su una litografia di Richmond, la Hoyer & Ludwig. I primi francobolli confederati videro la luce nell’ottobre 1861: cosa accadde quindi nei mesi tra giugno e ottobre? Per prima cosa furono stabilite le nuove tariffe postali, dipendenti dal peso e dalla distanza che la lettera doveva percorrere: 5 centesimi ogni mezza oncia (1 oncia = 28,35 grammi) sotto le 500 miglia, 10 centesimi ogni mezza oncia sopra le 500 miglia e 2 centesimi per le “drop leiter” (lettere lasciate a un ufficio postale perché il destinatario le ritiri lì) e le “circular” (documento di affari, stampato o giornale, sotto fascia o in busta aperta).
In assenza dei francobolli, i postmaster confederati tornarono ai sistemi in uso in epoca prefilatelica (per gli Stati Uniti prima del luglio 1847) indicando l’avvenuto pagamento del porto con un bollo PAID o con un’indicazione manoscritta. Altri postmaster invece decisero di stampare in proprio dei francobolli per l’uso nell’area di loro competenza: spesso queste emissioni riportano il nome del postmaster, la città d’uso e la tariffa e la qualità di stampa è piuttosto approssimativa. Per inciso è giusto evidenziare che esistono moltissimi esemplari falsi di queste emissioni provvisorie.
Le tariffe sopra riportate rimasero in vigore dal I giugno 1861 al 30 giugno 1862: successivamente fu eliminata la tariffa da 5 centesimi e rimase quella da 10 centesimi ogni mezza oncia, indipendentemente dalla distanza.
La Confederazione non strinse mai accordi postali con stati esteri (compresi gli Stati Uniti) e pertanto non esistono tariffe dedicate. Dopo la caduta di Vicksburg e di Port IIudson sul fiume Mississipi nel luglio 1863, fu disposta una speciale tariffa di 40 centesimi ogni mezza oncia per consentire alla posta di attraversare di contrabbando il Mississipi caduto sotto il controllo dell’Unione (figura 3): era tuttavia una procedura necessaria per consentire lo scambio di notizie tra gli stati confederati occidentali e quelli orientali, che altrimenti sarebbero stati impossibilitati a comunicare tra loro.
Buste affrancate in tale maniera sono piuttosto rare e ricercate, così come lo sono quelle che riuscirono a superare il blocco delle comunicazioni imposto dall’Unione.
Infatti nell’aprile 1861 la marina dell’Unione bloccò i porti del Sud e tale situazione durò sino alla fine della guerra: questo fatto è comunemente ritenuto uno dei motivi che portarono alla vittoria finale dell’Unione. Oltrepassare il blocco era fortemente rischioso: a fronte dei 2 centesimi che un capitano chiedeva per trasportare clandestinamente una lettera, il pericolo di essere intercettati era piuttosto alto.
Lo scambio della posta avveniva poi a Nassau e Bermuda nelle Indie Occidentali (figura 4). Ai soldati dell’esercito confederato era consentito di inviare lettere non franche: queste venivano quindi generalmente raggruppate e impostate presso l’ufficio postale che le bollava con un timbro DUE (o, in assenza del timbro, l’indicazione veniva manoscritta) per evidenziare che il porto “dovuto” andava riscosso all’atto della consegna al destinatario. Perché le lettere dei soldati potessero accedere a questo privilegio, era necessario che fossero indicati, sull’esterno del plico, nome, grado e reparto dell’interessato (figura 5). Come in ogni guerra, non mancano le testimonianze postali dei prigionieri: tipicamente, come nella corrispondenza dei soldati, sulle buste sono riportati nome, grado e compagnia. A volte un’unica busta porta i francobolli di entrambe le parti; il bollo “Examined”, quando presente, denota la censura attuata sulla corrispondenza di ufficiali prigionieri (figura 6).
Con il procedere della guerra, la situazione economica degli Stati con-federati peggiorava via via. Una testimonianza postale può essere trovata nelle cosiddette “adversity covers”, buste d’emergenza; esempi sono le buste rivoltate per il riutilizzo, oppure l’uso di materiale inconsueto (figure 5, 6 e 8).
(Per gentile concessione de L’Arte del francobollo – Unificato)
Complimenti Luca per la trattazione di questo argomento filatelico che sento molto vicino anche ai miei ideali umanitari. La guerra di Secessione Americana è sicuramente un momento esaltante nella crescita di quel popolo che ha lottato in massa per l’affermazione di un idea, da noi l’unità dell’Italia fu l’aspirazione di un ristretto numero di illuminati e i risultati ……lasciamo perdere che è meglio.
Un abbraccio. Luigi Loretoni
Caro Luigi,
ti ringrazio dell’apprezzamento. Dalla tragicità di quegli anni è nata la moderna democrazia americana che tanta influenza avrà negli anni a venire sulla “vecchia” Europa.
Un abbraccio anche a te.
Luca Lavagnino